Test prenatale non invasivo o amniocentesi?

30 / 09 / 2019


Dopo la buona notizia di una gravidanza, i genitori si preoccupano anche della salute del bambino. I test prenatali come il test prenatale non invasivo e l'amniocentesi aiutano a diagnosticare eventuali anomalie attraverso il DNA, come la spina bifida dovuta a difetti del tubo neurale, malattie metaboliche ereditarie o malformazioni genetiche, al fine di monitorare il benessere del feto.

Fino a tempi relativamente recenti, era possibile rilevare queste anomalie solo attraverso l'amniocentesi o il prelievo dei villi coriali. Oggi, invece, un semplice esame del sangue materno può rilevare anomalie cromosomiche nel feto, la più nota delle quali è la sindrome di Down. Questo test offre quindi un'alternativa alle tecniche invasive che, sebbene efficaci, comportano sempre un rischio dell'1% di aborto spontaneo.

Test prenatale non invasivo: in cosa consiste?

Si tratta di un test diagnostico non invasivo che viene eseguito a partire dalla 10a settimana di gravidanza mediante un esame del sangue materno.  Il campione di sangue viene utilizzato per cercare le cellule fetali che sono accidentalmente passate dal feto al sangue della madre. Queste cellule saranno utilizzate per escludere anomalie nei cromosomi più importanti, tra cui il 21 - che implica la sindrome di Down, il 18 - sindrome di Edwards e il 13 - sindrome di Patau.

Il test prenatale non invasivo è particolarmente consigliato in questi casi:

  • Donne in cui sono state rilevate alterazioni sospette nelle ecografie
  • Donne con precedenti gravidanze affette da sindrome di Down
  • Coppie in cui entrambi i partner sono portatori di malattie autosomiche recessive
  • Quando uno dei genitori è portatore di un'anomalia cariotipica

La sua affidabilità è superiore al 97%. Se il risultato del test è negativo, l'amniocentesi è completamente esclusa, poiché la possibilità di sindrome di Down, altre trisomie e alterazioni dei cromosomi sessuali sono escluse con un altissimo grado di certezza.

Se il test è positivo, è necessaria un'amniocentesi per confermare il risultato. Il rischio di falsi positivi, cioè che il test indichi la presenza di un'anomalia cromosomica quando in realtà non è così, è dello 0,1%. La possibilità di avere un'alterazione cromosomica è molto alta, ma non abbastanza per prendere decisioni sul futuro di questa gravidanza.

Amniocentesi: in cosa consiste?

L'amniocentesi è uno degli esami che creano piú preoccupazioni durante la gravidanza. Consiste nell'introdurre un ago sottile nel sacco amniotico attraverso la parete addominale della madre. L'obiettivo principale è ottenere le cellule fetali che galleggiano nel liquido amniotico per effettuare studi genetici. Si esegue più comunemente intorno alla 14-16a settimana.

Si tratta di un esame ambulatoriale di breve durata che non richiede alcun farmaco. L'esame consiste in un'ecografia per localizzare il liquido amniotico e in una puntura dell'addome della paziente attraverso un ago sottile. Grazie all'ecografia, l'ago viene fatto avanzare verso la sacca di liquido amniotico, monitorando sempre il movimento del feto. Si preleva una piccola quantità di liquido a seconda delle analisi  da eseguire, di solito 5-10 millilitri, e si rimuove l'ago. Attraverso questo prelievo di liquido vengono studiati i cromosomi.

Nonostante sia un test molto sicuro, possono verificarsi complicazioni che possono portare all'aborto spontaneo nell'1% dei casi.

A  breve termine, si prevede una riduzione del numero di amniocentesi da eseguire, in quanto l'indicazione per questo test invasivo sarà limitata a un piccolo numero di casi in cui il test prenatale non invasivo abbia dato risultati alterati.

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