FIVET: esperienze e difficoltà

02 / 10 / 2019

 Dot. Raúl Olivares:  "I trattamenti di riproduzione assistita hanno un importante background emozionale. E a volte questo sfondo porta le relazioni a continuare oltre la fine del trattamento. Questo è ciò che è accaduto con Raffaella. Più di 5 anni fa sono nati i loro figli e ci siamo tenuti in contatto, aggiornandoci sulle nostre vite e sui nostri progetti. Lei è una persona combattiva, determinata e ragionevole, con un'umanità difficile da immaginare. Perciò sono lieto di proporre questa intervista fatta a lei sulla sua avventura riproduttiva, a cui ho avuto la fortuna di partecipare."

FIVET: esperienze e difficoltà (per Stefania Monari)

Sono tante le cose che si possono dire sulla fecondazione eterologa e troppe le difficoltà che una coppia deve affrontare per poter percorrere questa strada. La cosa migliore credo sia lasciar parlare chi ci è passato e ci può offrire un punto di vista sincero ed attendibile sugli aspetti tecnici ed emotivi di questa tecnica. Ecco perché ho scelto la storia di Raffina e Bertrando, una coppia tra le tante che ha accettato di raccontarci la propria esperienza.

Qual è stato il percorso che vi ha portati a scegliere la fecondazione eterologa?
 

Il 24 dicembre 1998, dopo quattro anni di matrimonio, scoprimmo di essere una coppia sterile. La prima reazione di mio marito, a caldo,  fu “se mi vuoi lasciare ti capisco” perché il nostro problema era l'assoluta assenza di spermatozoi. Ovviamente non pensai nemmeno per un secondo a lasciarlo. La notizia mi gettò nella disperazione perché la maternità per me era un sogno da lungo tempo, forse da sempre, ma da subito il problema mi si presentò come un problema della coppia, non suo.
Un giovane medico che conoscemmo in quell'occasione ci prese per mano e ci accompagnò alla ricerca di una soluzione. Mio marito subì due interventi di biopsia testicolare alla ricerca di uno spermatozoo anche immaturo, ma la diagnosi fu “Only Sertoli Cells” ovvero non c'erano nemmeno le cellule preposte a produrli, gli spermatozoi.
Facemmo qualche tentativo di inseminazione intrauterina con seme di donatore e su consiglio del medico ci rivolgemmo alla Svizzera: vicina e con molta esperienza nel settore ed un impianto normativo collaudato.
Non andò bene e ogni tentativo era un fallimento, un piccolo lutto. Per questo motivo, soprattutto per la preoccupazione di mio marito per la mia salute mentale, sospendemmo i tentativi a tempo indeterminato. Nel frattempo altre esperienze (un affido temporaneo, in particolare) occuparono le nostre energie.
Nel 2004, poco prima che entrasse in vigore la Legge 40/04, decidemmo di riprovarci. Mio marito cercò di convincermi a stabilire un numero finito di tentativi. Io acconsentii a non accanirmici, ma svicolai sul numero. Inoltre decidemmo di provare con la FIVET anziché con le IUI.
Riuscimmo a fare il primo tentativo in Italia. Sembrò andare bene, ma dopo poche settimane il sogno finì e intanto la nuova Legge era entrata in vigore.

Come vi siete dovuti muovere per poterla effettuare?

Ci rivolgemmo ad un centro che opera a Torino il quale non poté fare altro che darci dei nominativi (quasi a caso) di centri esteri. Mandammo varie e-mail e ricevemmo una risposta tempestiva e accurata da un centro di Barcellona. Nel frattempo io avevo cominciato a scrivere e soprattutto a leggere in un forum sulla maternità dove altre coppie nella nostra situazione o situazioni simili si confrontavano e scambiavano informazioni. Questo ci fu molto d'aiuto.

Quanto vi hanno ostacolato le leggi italiane?

La legge italiana ci ha costretto ad andare all'estero. Ma non è tutto. Ci costretto ad agire come dei ladri, come dei delinquenti, a fare le cose di nascosto e a contare solo sull'aiuto di poche persone fidate. Le persone che non sono addentro alla questione e non sanno cosa voglia dire avere problemi di infertilità di solito non si soffermano a pensarci più di tanto. Se una legge impedisce una cosa un motivo ci sarà, si dicono, e sicuramente si tratta di qualcosa di immorale oltre che illegale.
Poi capita che quando spieghi la tua storia nove persone su dieci ti dimostrano comprensione e approvano la tua scelta. Ma ci sarà sempre qualcuno che ritiene di dover vietare a tutti ciò che lui/lei non farebbe.

Quanto è stato faticoso il percorso?

La fatica si manifesta sotto diversi aspetti. C'è la fatica fisica di doversi sottoporre a trattamenti medici, di doversi spostare di centinaia di km, di dover affrontare una lingua diversa, essere lontani da casa... C'è la fatica psicologica di doversi muovere nel riserbo più assoluto, di dover fare i salti mortali per giustificare i propri movimenti con amici e parenti, ma soprattutto di affrontare i fallimenti e gli insuccessi e intanto la fatica di sfidare l'opinione pubblica e lottare perché una legge ingiusta possa finalmente essere riconosciuta come tale. C'è anche la fatica di dover ogni volta farsi i conti in tasca per capire se ci si può permettere di provarci ancora oppure se bisogna rimandare o rinunciare.

Ci raccontate com'è andata?

Come dicevo, nel febbraio 2004 facemmo il primo tentativo di FIVET in Italia che purtroppo andò male. Ma durante le poche settimane in cui io fui incinta qualcosa cambiò nell'atteggiamento di mio marito: se fino a quel momento ero tra i due il motore, quella più motivata, dopo quell'esperienza fu lui a insistere perché ci provassimo ancora.
Nel giugno 2004 facemmo la prima visita a Barcellona; a luglio la stimolazione ovarica e la prima FIVET all'estero. Dai miei ovuli e dal seme di un donatore catalano che non conosceremo mai furono prodotti cinque embrioni. Tre mi furono impiantati mentre gli altri due furono congelati per la crioconservazione. Purtroppo anche questo tentativo, dopo un primo test debolmente positivo, andò male. I medici spagnoli mi prescrissero una serie di esami per la poliabortività, visto che nella nostra storia c'erano diversi positivi negativizzatisi precocemente e un aborto.
Da questi esami risultò che io ho una mutazione genetica (anche se in forma eterozigote, cioè un solo cromosoma su due) che mi renderebbe soggetta a trombosi. Per questo motivo quando a novembre ci riprovammo mi fu prescritta l'eparina da fare quotidianamente per i primi tre mesi. A novembre, appunto, andammo a prenderci i nostri due embrioncini surgelati. I pinguinetti, li chiamavamo.
La preparazione per ricevere degli embrioni già esistenti consiste in due settimane di cerottoni di estradiolo (quelli che si usano in menopausa,ma molto più grossi) e poi progesterone dal giorno prima del transfer. Quando arrivammo al centro, il nostro medico (molto umano, con il quale siamo ancora in contatto oggi) ci comunicò che lo scongelamento dei due embrioni aveva avuto un successo del 100%: entrambi erano in ottimo stato e lui era molto entusiasta.
Il giorno dopo tornammo lì per il transfer. Il medico ci indicò quella che sul monitor appariva come una bollicina bianca, depositata con la cannula nel mio utero. Ricordo che mio marito e io ci guardammo emozionati e a me scappo' anche qualche lacrimuccia. Quel momento è stampato nel mio cuore. Ci lasciò soli per un pochino e poi ci disse che potevamo andare, di stare tranquilla, non strapazzarmi e tornare in Italia non prima del giorno successivo.
Sull'autobus che ci portava all'aeroporto c'era un gruppo di hooligans venuti a Barcellona al seguito della propria squadra e tra questi un tizio che si era messo a fumare. Gli dissi per cortesia di smettere perché io ero incinta!
E infatti l'8 dicembre facemmo il test di gravidanza. Il giorno dell'Immacolata Concezione, che ironia: più immacolata di così!

Le percentuali statistiche di successo per due embrioni congelati di attecchire entrambi si aggira intorno al 4-5%, ci hanno spiegato. Siamo stati molto fortunati. La gravidanza è stata il periodo più sereno e felice della mia vita, nonostante qualche preoccupazione perché uno dei due embrioni cresceva poco. Inoltre in quel periodo si combatteva la battaglia per il referendum abrogativo della legge e mio marito ed io facevamo campagna referendaria: andavamo alle serate organizzate dai comitati con la mia panciona a raccontare la nostra storia.

Chiara e Marco sono nati a fine luglio e sono la cosa più bella che mio marito ed io abbiamo mai fatto. Dal primo giorno che sono nati abbiamo cominciato a raccontare loro come sono stati concepiti e quando avevano 4 anni la loro storia è diventata un librino illustrato che è stato scritto principalmente per loro, ma anche per raccontare finalmente ad amici e parenti tutta la verità.
Vedere i loro occhi, le loro espressioni il giorno in cui hanno visto per la prima volta il librino con su dei tipi che somigliavano proprio a papà a mamma è un altro ricordo indelebile e dolcissimo.

http://bit.ly/edvCaN

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